Scrivo ormai molto di rado su questa lavagna, ogni tanto ritorno qui ed aggiorno... In questo caso condivido un editoriale che ho scritto mentre ero con i giornalisti al seguito del Papa nel viaggio in Congo e Sud Sudan. Un viaggio davvero toccante. Queste righe le ho scritte mentre lasciavamo Kinshasa per arrivare a Giuba... Le redazioni di Radio Vaticana - Vatican News hanno lavorato intensamente per restituire a quei popoli ciò che il mondo continua a
Il traffico sembra non avere regole, i veicoli se non sono imbottigliati, si spostano, sfrecciando velocemente, continuamente a destra e sinistra. La maggior parte delle auto sono ammaccate, con gli specchietti retrovisori legati con fili e nastro adesivo per non cadere, le portiere dei pulmini per il trasposto pubblico sono spesso aperte per consentire di stipare più gente possibile, alcuni viaggiano in piedi sporgendo di fuori. La polizia e i militari presidiano le strade, hanno lunghi sfollagente che agitano contro chi viola le direttive. Sulle motorette si sale anche in quattro. Tantissimi i bambini che giocano dietro lamiere colorate che delimitano spazi vuoti, le donne trasportano sulla testa sacchi di ogni dimensione.
Lo sguardo degli abitanti è sempre lo stesso: ti attraversa. In questa terra in cui vivono e si scontrano le contraddizioni della ricchezza del sottosuolo e della povertà, della bellezza della natura e della guerra, ciò che prevale è la spinta inarrestabile del popolo, tutta proiettata in avanti. “La Repubblica Democratica del Congo sarà un paradiso”. Questa speranza non è un’attesa, una chimera, ma ciò che si ascolta da una generazione intera, da chi, portando Cristo, costruisce giorno dopo giorno tra le macerie, la corruzione, gli scartati, le violenze, i soprusi, lo sfruttamento e la divisione tribale.
Forse però è proprio questo che spaventa chi depreda, schiaccia e silenzia l’Africa, chi cerca di relegarla ad un problema da risolvere o Stati da aiutare. Tutti qui ricordano le due visite di San Giovanni Paolo II, ma anche quella recentissima del cardinale Parolin, venuto a luglio in rappresentanza di Francesco, che ha rimandato il viaggio a causa del dolore al ginocchio. Il segretario di Stato vaticano ha portato la promessa che il Santo Padre sarebbe venuto. “E’ passato un anno” ha sospirato il Pontefice sull’aereo in direzione Kinshasa. Il Papa è stato di parola e questo popolo non lo dimentica, si sente onorato, rispettato, amato. Francesco ha alimentato nel Paese, in cui la Chiesa è rigogliosa, la certezza dell’orizzonte, la consapevolezza del legame in Cristo.
Questo continente sta crescendo enormemente, non solo in termini di prodotto interno lordo, ma le opportunità non verranno dal coltan, dal petrolio, dalle pietre preziose - certamente saranno strumenti - ma dalla memoria dell’uomo, dalla voglia d’incontro, dalla vitalità, dalla giovinezza, dal desiderio di questi popoli, i quali consentiranno a tutta l’umanità di vivere nuove sfide, di cambiare, crescere, svilupparsi. E’ questo il ribaltamento di prospettiva portato dal Papa che ha indicato la luce di Cristo quale faro da seguire, perché in Lui le logiche coloniali o predatorie si dissolvono consentendo all’uomo di diventare se stesso in relazione agli altri.