venerdì 5 agosto 2022

Archie Battersbee non è una foglia secca

Nelle terapie intensive la vita è un suono ad intermittenza di un monitor o una pompa che porta l’aria ai polmoni. La vita è sacra, sempre. Eppure alcuni devono morire perché leggi, sentenze, altre persone hanno deciso che così deve essere. 

Archie Battersbee, ha dodici anni e fino a poco fa andava a scuola e giocava in una delle città più avanzate al mondo, Londra, almeno secondo i parametri economici e di sviluppo. Eppure il suo Paese non solo non riesce a proteggerlo, ma non ascolta la mamma Hollie e il papà Paul, che vogliono tentare ogni mezzo per salvare la vita del proprio figlio. 

Archie è in coma dal 7 aprile scorso. Lo hanno trovato privo di conoscenza, con dei segni attorno al collo come se avesse provato a soffocarsi, nessuno sa il perché, l’ipotesi è quella di un folle gioco online. Da quella data la mamma e il papà, invece di essere sostenuti e supportati, lottano contro coloro che dovrebbero cercare ogni via per salvare la vita. 

Per i medici del London Royal Hospital, dove il piccolo è ricoverato, non c’è più nulla da fare: si tratta di morte cerebrale e la condizione è irreversibile, quindi vanno sospesi tutti i trattamenti che tengono in vita il bambino. Hollie continua a ribadire che dei medici di altre nazioni, tra cui l’Italia, sono disponibili a tentare di salvare la vita di Archie. 

Quattro mesi di battaglie legali, ricorsi interni ed esterni, arrivati fin nelle sedi europee e delle Nazioni Unite, ma tutte le porte sono rimaste chiuse fin’ora, nulla ha arrestato lo spettro della morte. Alle 11 di ieri, le 10 in Italia si sarebbe dovuto fermare il supporto vitale. 

Difronte all’ineluttabile i genitori del piccolo Archie hanno chiesto il trasferimento in un hospice, guadagnando ancora tempo per il figlio. La posizione dei medici londinesi è ancora una volta negativa, perché secondo loro, lo spostamento potrebbe comportare un peggioramento per il piccolo ed essere fatale. 

Il Papa più volte ha parlato di “colonizzazioni ideologiche”, dove tutto viene ribaltato, e allora i migranti mettono paura, i nascituri  si possono sopprimere, l’eutanasia viene incentivata, gli anziani non produttivi abbandonati... Francesco durante l’ultimo viaggio apostolico in Canada è tornato proprio su “l’imposizione dei modelli culturali prestabiliti”, che “contrastano la realtà dell’esistenza”. “È una mentalità - ha detto - che, presumendo di aver superato le ‘pagine buie della storia’, fa spazio a quella cancel culture che valuta il passato solo in base a certe categorie attuali. Così si impianta una moda culturale che uniforma, rende tutto uguale, non tollera differenze e si concentra solo sul momento presente, sui bisogni e sui diritti degli individui, trascurando spesso i doveri nei riguardi dei più deboli e fragili: poveri, migranti, anziani, ammalati, nascituri… Sono loro i dimenticati nelle società del benessere; sono loro che, nell’indifferenza generale, vengono scartati come foglie secche da bruciare”. 

Archie non è una foglia secca, è un bambino in carne ed ossa, come lo erano Charlie Gard, Alfie Evans e lo è Tafida Raqeeb, curata in Italia dopo il braccio di ferro con le autorità sanitarie londinesi. Curare non significa esclusivamente guarire, ma farsi carico: di chi sta soffrendo, di chi è debole, di chi è fragile. Questo costa molto di più, in termini economici e d’investimenti, rispetto a staccare le macchine che tengono in vita una persona, ma è lo specchio di una società che si riconosce creatura e quindi protegge e aiuta l’uomo o di una società autoreferenziale, che avendo tagliato ogni nesso, sfrutta, distrugge e divora.

@VaticanNews.va

mercoledì 3 agosto 2022

Francesco in Canada: il dono delle lacrime

Nella società di oggi ci sono immagini che fanno il giro del mondo in pochi secondi, condivise sui social media grazie ai telefoni e ai pc: migliaia, milioni, se non miliardi di persone si ritrovano spesso inconsapevolmente a guardare la stessa istantanea. Ci sono linee, colori e forme che svaniscono nel vortice della condivisione, altre rimangono impresse nella memoria per sempre, altre ancora vengono custodite esclusivamente nel cuore. Nel viaggio di Papa Francesco in Canada, dal 24 al 30 luglio scorsi ce ne sono tante, di queste istantanee che raccontano molto di più di un evento: aprono spazi, mostrano silenzi, dolore e sofferenza, ma anche appartenenza, riconoscimento, incontro, speranza.


Il Papa ha compiuto, come lui stesso ha indicato, un pellegrinaggio penitenziale in una terra che ha visto il martirio dei popoli indigeni a cui sono stati strappati i figli al tempo delle politiche di assimilazione e affrancamento. Francesco si è messo in cammino, portando la luce di Cristo, della Chiesa che vede, che non ha paura della verità e di chiedere perdono, che abbraccia, ascolta, ama. Una Chiesa che è vicina ad ogni bisognoso, senza esitazioni, senza dubbi, senza remore, senza ostacoli.

In sei giorni il Papa ha attraversato il Canada toccando le periferie del cuore e quelle geografiche, giungendo fino ai confini del circolo polare artico dove vive la più grande comunità Inuit del pianeta. A Iqaluit ha incontrato gli ex alunni delle scuole residenziali presso una delle quattro scuole elementari: le terribili strutture create per rieducare gli indigeni strappati alle loro famiglie, luoghi di atrocità e violenze. Francesco è entrato in una stanza di questa struttura, che ricorda una grande scatola bianca, con oblò distribuiti sulle pareti sfaccettate e sporgenti.

È entrato in silenzio; lo attendevano alcune decine di persone disposte su più file, in cerchio. In maggioranza erano anziani, vestiti semplicemente, alcuni in abiti tradizionali. Le mani piegate dagli anni sono andate al volto. Sui visi immobili, quasi inespressivi, fissi con lo sguardo sul Successore di Pietro scendevano lentamente lacrime. In quell’istantanea - ripetutasi tante volte durante il viaggio - c’è molto di più di una singola vita, c’è il grido soffocato di un popolo. Uomini e donne che, anche a causa dei cattolici, hanno vissuto orrori e che in quell’incontro si sono visti riconoscere, toccare, abbracciare, amare. Lacrime che disegnavano baratri, sofferenze, speranze davanti alle quali si può solo tacere, aprire le braccia, accogliere.

Il Papa nei giorni della visita apostolica ha indicato un cammino di riconciliazione e guarigione, come nei mesi scorsi in Vaticano quando ha ricevuto i rappresentanti dei popoli indigeni First Nations, Inuit e Métis. Ha avviato un processo, un orizzonte a cui bisogna arrivare, che va costruito e alimentato. La presenza del Papa è stata una “benedizione e un dono” ha detto Chief Wilton Littlechild, sottolineando che ora “inizia il lavoro”. Littlechild è il capo indigeno sopravvissuto alle scuole residenziali, oggi settantottenne, che ha donato al Papa un copricapo indiano nell’incontro a Bear Park Pow-Wow Grounds, a Maskwacis.

Una fotografia straordinaria, quella del pontefice con le piume d’aquila, ma lo scatto del cuore è diversi fotogrammi prima: quando questo gesto di condivisione si è reso possibile e per capirlo bisogna ribaltare completamente la scena. Si è giunti a quel dono che indica un riconoscimento – costato a Littlechild uno sforzo fisico notevole, poiché ordinariamente è costretto a camminare con l’ausilio di stampelle o muoversi in carrozzina: invece ha percorso da solo alcuni metri, salendo le scale per arrivare sul palco dove era Papa – perché gli indigeni hanno riaperto il cuore e l’orecchio all’Annuncio, alla realtà di una Chiesa viva, diversa da quella che li ha umiliati e schiacciati.

Un orrore impresso sul lungo striscione rosso con su scritti i nomi delle vittime delle scuole residenziali, mostrato al Papa, mentre il suono dei tamburi attraversava i corpi e si fondeva con il battito del cuore di ognuno. Indimenticabile l’immagine di dolore, commozione e rabbia di Si Pih Ko, dritta davanti al Papa con intorno la folla ammirata e l’indecisione degli uomini della sicurezza mentre intona, in un fuori programma, un canto che nei suoni ricorda l’inno canadese.

Poi, il Papa seduto sulla sedia a rotelle davanti al silenzio del Lago di Sant’Anna, luogo caro agli indigeni, dove migliaia di persone ogni anno si recano in pellegrinaggio. E dove, mentre Francesco parlava, le mani dei nonni stringevano quelle dei più giovani per sorreggersi vicendevolmente.

Immagini di sofferenza, fierezza, passione, identità, danze, silenzio, preghiera, lacrime hanno accompagnato dunque questo pellegrinaggio penitenziale che avvia una prospettiva nuova e assegna compiti e obiettivi a singoli e istituzioni, ma che rappresenta anche un’opportunità per l’intera umanità, per tutti noi, di seguire vie di condivisione e fraternità, di ascoltare e porre lo sguardo sull’uomo e il creato, riconoscendoci figli di Dio.

@Vaticannews

sabato 25 giugno 2022

Sentenza Corte suprema. L’aborto si combatte con verità, consapevolezza e aiuti

 La Costituzione non conferisce il diritto all’aborto, così la Corte suprema degli Stati Uniti d’America ha abolito la sentenza, sul caso “Roe contro Wade”, che dal 1973 aveva legalizzato l’interruzione volontaria di gravidanza nel Paese. Da oggi saranno i singoli Stati a dover decidere, perché il diritto di interrompere una vita non è più garantito sul piano Federale.


La decisione apre una nuova fase di confronto in un Paese dalle forti contraddizioni (dove chi pro-life magari compra un’arma per difendersi e spara), capaci di convivere con un indubbio sentimento nazionale. Nel 2020 nel Paese del “sogno americano” gli aborti sono stati circa 930mila (https://www.guttmacher.org/), quasi un’interruzione su cinque, il triplo di ciò che avviene in Italia. La decisione della Corte però apre non solo il dibattito e il confronto, ma afferma una speranza, quella che la vita sia vista per ciò che è: un dono di Dio. L’aborto è un omicidio come ci ricordano tutti i Papi della Chiesa, da quando questo termine è entrato nella storia dell’uomo. Papa Francesco durante il volo di ritorno da Bratislava, 15 settembre 2021, lo ha ribadito chiaramente: “L’aborto… senza mezze parole: chi fa un aborto, uccide”.

Nella esortazione apostolica Evangelii Gaudium sottolinea che la “difesa della vita nascente è intimamente legata alla difesa di qualsiasi diritto umano. Suppone la convinzione che un essere umano è sempre sacro e inviolabile”. Francesco ricorda continuamente che stare dalla parte della vita non vuol dire però occuparsene solo al suo inizio o alla sua fine, ma significa difenderla sempre. Vuol dire aiutare chi bisognoso, chi fugge da sofferenze e guerra, chi afflitto da malattie, prendersi cura di chi è fragile, discriminato, di chi ha subito violenze… anche soprattutto di chi pensa all’aborto perché schiacciato da paure e angosce.

L’aborto si combatte con verità, consapevolezza e aiuti. Probabilmente sessanta anni fa le conoscenze mediche, scientifiche non fornivano sull’inizio della vita la chiarezza che abbiamo oggi. Basti pensare che l’ecografia inizia ad essere usata negli anni settanta.

Oggi la ricerca e la medicina ci danno la possibilità di affermare senza ombra di dubbio che la vita inizia da quando due cellule si incontrano, dal momento del concepimento inizia il processo inarrestabile della duplicazione e diversificazione: la persona.

La vita tutta va protetta e per farlo è necessario aiutare le mamme, perché si è mamma subito dopo il concepimento, a prendersi cura del bambino in grembo. Servono aiuti economici, certezze lavorative, corsie preferenziali se necessario per l’ottenimento e il mantenimento di un impiego; la certezza di una casa, l’assistenza medica, sostegni economici, psicologici, religiosi, il calore di chi ama … anche attraverso strutture come "le case famiglia", ma questo costa molto in termini di denaro e allora si sceglie l’ideologia fusa alla menzogna che strutta la via della barricata, della contrapposizione, della chiusura e l’intervento chirurgico che recide il cordone della vita diventa scelta assoluta.

Ciò che serve invece è costruire, dialogare, trovare il modo per riaprire gli occhi e saper guardare. La sentenza della Corte degli Stati Uniti è in questo senso un’opportunità, per il mondo intero, di vedere, interrogarsi, cambiare. 

giovedì 10 marzo 2022

Ucraina: La Radio Vaticana aderisce a Beethoven call for solidarity

Oggi giovedì 10 marzo tutti i canali radiofonici della European Broadcasting Union (Unione Europea di Radiodiffusione), la maggiore associazione mondiale dei media di servizio pubblico, di cui la Radio Vaticana è membro fondatore, promuovono l’iniziativa Beethoven call for solidarity. Le emittenti sono invitate a trasmettere, in qualsiasi momento della giornata, la 9a Sinfonia in re minore op 125 di Beethoven (completa o nella parte con l'Inno alla gioia). Anche l’emittente vaticana aderisce all’iniziativa a favore della pace del dialogo.


"Un'iniziativa semplice, ma significativa - sottolinea il responsabile della testata Radio Vaticana/Vatican News Massimiliano Menichetti - che rimarca in musica, l'imprescindibile impegno per la costruzione del legame di fratellanza fra gli uomini e i popoli. In questo momento in cui l'orrore della guerra, ferisce milioni di persone, minacciando gli equilibri mondiali. Ci uniamo alle emittenti in Europa e alla radiotelevisione nazionale ucraina, che continua non senza difficoltà il proprio servizio. 


La Radio Vaticana, per garantire una pluralità di voci, sta valutando l'ampliamento delle proprie trasmissioni in onda corta verso la Russia e l'Ucraina per essere più vicino alle popolazioni. Attualmente con i nostri inviati siamo lungo i confini della Romania, Ungheria, Moldavia e Polonia, dove la crisi umanitaria assume dimensioni drammatiche. Cerchiamo di portare la speranza del Vangelo, un'informazione puntuale, preghiera e note. Nella nostra struttura lavorano fianco a fianco persone provenienti da 69 nazioni: russi, ucraini, statunitensi, etiopici, eritrei, siriani, libanesi, cinesi... tutti impegnati in una narrazione che costruisce, ispirati da quello sguardo più grande che sgorga dal Vangelo: che ama e accoglie l'uomo".


Ad aprire la giornata con Beethoven (alle ore 9.00) il programma in lingua portoghese, poi (alle 11.30) i programmi in lingua albanese, araba, armena, bielorussa, bulgara, ceca, cinese, croata, eritrea, etiopica, francese, hindi, malayalam, tamil, inglese, kiswahili, lettone, lituana, polacca, romena, russa, slovacca, slovena, spagnola, tedesca, ucraina, ungherese, vietnamita, a trasmettere la Nona beethoveniana nella interpretazione di Sir Simon Rattle sul podio dei Wiener Philharmoniker. Questo flusso audio si potrà ascoltare sul portale Vatican News.


Alle ore 22.00 il programma, in lingua italiana, Spazio EBU (su 105FM, DAB+, satellite e sul portale Vatican News) manderà in onda la Nona Sinfonia nella interpretazione di Bernard Haitink sul podio di coro e orchestra della Radio Bavarese, con solisti Sally Matthews soprano, Gerhild Romberger contralto, Mark Padmore tenore e Gerald Finley basso. Il concerto è stato registrato a Monaco il 22 settembre 2019.

martedì 8 marzo 2022

Ucraina: donne esempio di speranza, forza e amore

 Condivido anche qui l'editoriale che ho scritto l'8 marzo 2022 su Radio Vaticana - Vatican News per ogni donna, in questa giornata in cui convergono emozioni, azioni, riflessioni, ricordi, dolore e speranze.


La giornata internazionale della donna quest’anno non può non guardare il coraggio, la forza, la prova sopportata in Ucraina, dove le donne sono costrette a lasciare le proprie case, per proteggere i figli. Donne che pregano. Donne che decidono di rimanere al fianco dei propri mariti per resistere ai carri armati che avanzano e ai razzi che esplodono. Donne che allattano tra le macerie e sotto il tiro dei mortai, donne che soccorrono, preparano il cibo, che danno alla luce la vita, nuova speranza, aspettando ore alle frontiere. 

Donne alla guida di auto e camion, perché la nazione è sotto attacco. Donne in marcia con le poche cose raccolte, tra freddo e neve. Donne che perdono la vita, che sono violentate, bambine colpite da bombe e proiettili. Chi può accettare tutto questo orrore? 

Fuori dall’Ucraina altre raccolgono aiuti, lavorano in politica, in diplomazia per trovare soluzioni, protestano nelle piazze, vengono arrestate e picchiate. Donne: figlie, sorelle, madri, mogli, amiche, a costruire società, sostenere economie, portare istruzione e creatività, custodire il creato, proteggere l’umanità. Donne imprigionate. 

“Ferire una donna è oltraggiare Dio” ha detto il Papa il primo gennaio di quest’anno, quando le ombre della guerra in Europa ancora non si vedevano, ma avanzavano silenziose, come spesso gli abusi, la violenza, nei confronti delle donne nel mondo. Vittime, troppo spesso nell’omertà, di violenze psicologiche e fisiche, bambine costrette a sposarsi in matrimoni combinati, obbligate a prostituirsi, a lavorare, a non studiare, uccise e che vedono morire i figli in guerra. Chi può tacere per tali abomini? 

Donne nell’ordinario, sostegno, aiuto e guida, eroiche, anche quando l’ordinario è distruzione. Donne che in ogni parte del globo si oppongono a logiche di separazione e inimicizia, che lavorano per l’unità. 

Nella storia della Chiesa tante sono Sante, fari che hanno portato la luce salvifica di Cristo nel loro tempo e oggi in un’Europa ferita da ingiustizie e orrori. Patrone d’Europa, protettrici di questo continente come: Santa Brigida, Ildegarda di Bingen, Teresa Benedetta della Croce e Caterina da Siena. L’affidamento in queste ore è a Maria, la Madre di Dio, affinché cessi ogni violenza in Ucraina e nel mondo e ogni uomo e donna possano vivere in pace.


sabato 29 gennaio 2022

Christian music: un mondo da scoprire

 


Tutto pronto per la prima edizione del Festival della Canzone cristiana, che si svolge nella cittadina ligure con il patrocinio del Comune e il sostegno della Diocesi. Appuntamento dal 3 al 5 febbraio all’Auditorium di Villa Santa Clotilde, Opera San Orione. Radio Vaticana – Vatican News sarà media ufficiale...