giovedì 26 settembre 2019

In Italia la Consulta apre al suicidio assistito

Da un lato la lucidità, lo smarrimento, la confusione, la malattia, la scelta di chi è affetto da patologie irreversibili e tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e che soffre ad un livello tale da ritenere intollerabile quella condizione; dall’altro il pensiero, la capacità di amare, aiutare, l’azione, il sostegno o il fallimento dell’uomo.

Da sempre il suicidio per la “cultura occidentale” è una sconfitta, è un aver ignorato, l’aver girato le spalle, il non essersi accorti, il non essere stati capaci di farsi carico di una condizione, di un male capace di divorare ogni speranza, di uccidere. 

Quando un uomo si suicida compie un gesto autolesionistico estremo dove in gioco non c’è solo la capacità di prendere decisioni libere e consapevoli, ma la famiglia, gli amici, l’intero gruppo sociale che lo circonda, fino ad arrivare allo Stato. La decisione della Corte Costituzionale che ha aperto al suicidio assistito ritenendo che in alcuni casi questo sia possibile, afferma ancora una volta un percorso di morte, chiudendo ad ogni azione verso l’altro, per l’altro.

Il punto su cui si è riflettuto non è stato l’uomo, ma la sofferenza dell’uomo, il non volerla guardare, accettare, curare, mitigare. La sofferenza da circoscritta è stata portata ad universale. Ora circa 4mila medici cattolici sono pronti all'obiezione di coscienza, ma è l’intera classe medica chiamata a riflettere sul senso di una professione che ha la missione di aiutare, salvare, rispettare la vita, non di sopprimerla. 

Lo stesso giuramento di Ippocrate impegna ogni medico al rispetto assoluto della vita umana e della sua sacralità. “La medicina - ha ricordato Papa Francesco -, per definizione, è servizio alla vita umana, e come tale essa comporta un essenziale e irrinunciabile riferimento alla persona nella sua integrità spirituale e materiale, nella sua dimensione individuale e sociale: la medicina è a servizio dell’uomo, di tutto l’uomo, di ogni uomo”. 

Il Papa parla di “strade sbrigative di fronte a scelte che non sono, come potrebbero sembrare, espressione di libertà della persona, quando includono lo scarto del malato come possibilità, o falsa compassione di fronte alla richiesta di essere aiutati ad anticipare la morte”. Il Papa nel marzo scorso ha ricordato che “la Trasfigurazione di Cristo ci mostra la prospettiva cristiana della sofferenza”, che “non è un sadomasochismo”. 

“Gesù ci assicura che la croce, le prove, le difficoltà nelle quali ci dibattiamo hanno la loro soluzione e il loro superamento nella Pasqua”. In questa prospettiva tutto si ribalta quindi e la paura, il dolore, lo smarrimento, diventano senso stesso dell’esistenza, ed essere vicino all’uomo che soffre, fragile, per aiutarlo, sostenerlo, l’unica risposta che abbia un senso.