lunedì 5 febbraio 2024

La vita di Guglielmo Marconi negli occhi di Elettra

 


L'incontro con la principessa Elettra Marconi è sempre un dono. Instancabilmente continua a dedicare la sua vita alla figura di Guglielmo Marconi, suo padre, affinché l'uomo, lo scienziato, il genio sia sempre più conosciuto, in Italia e nel mondo. Con lei in questa avventura ricchissima di storia familiare il figlio Guglielmo.



In questi scatti l'incontro che abbiamo avuto per la realizzazione di un breve documentario che stiamo realizzando su Guglielmo Marconi, in vista dei 150 anni dalla nascita, il 25 aprile del 1874. Fu #Pio XI a chiedere al padre del radiotelegrafo di costruire la Radio Vaticana. E la Statio Radiophonica Vaticana venne inaugurata il 12 febbraio del 1931. "Ho sempre amato la Radio Vaticana - ci dice la Principessa - è la radio di mio padre!"



Quasi 12mila ore di trasmissione in un anno, tra radiocronache, programmi informativi, liturgici e musicali. È la carta d’identità della Radio Vaticana, l’emittente della Santa Sede... leggi l'articolo su VATICAN NEWS

mercoledì 31 gennaio 2024

La lingua della Mongolia è su Radio Vaticana - Vatican News

 




Rivolgersi alle periferie del mondo, alle comunità più remote, è nel DNA della Radio Vaticana fin dal primo messaggio radiofonico di Papa Pio XI nel 1931. Dopo aver aggiunto negli ultimi anni al sito Vatican News il coreano, l'ebraico e il macedone, alle 51 lingue già presenti nel sito si aggiunge ora il mongolo. “Siamo felici di questa nuova possibilità di poter leggere le parole del Santo Padre in mongolo – sottolinea il cardinale Giorgio Marengo, prefetto apostolico di Ulaanbaatar -... Continua a leggere su Vatican News

sabato 20 gennaio 2024

Radio Vaticana - Vatican News





La missione di Radio Vaticana - Vatican News è non lasciare nessuno da solo, portare l’annuncio del Vangelo, leggere i fatti con la lente della Dottrina sociale della Chiesa, portare la speranza e condividere idee, pratiche, azioni capaci di costruire un mondo fraterno e solidale.

lunedì 8 gennaio 2024

La Radio Vaticana avvia la Radiovisione




L'8 gennaio abbiamo avviato la Radiovisione, una conquista importante per una struttura che si esprime in 51 lingue. Oggi la Radio si vede, si legge, si ascolta e sopratutto è in rete, in dialogo con il mondo intero. 



sabato 18 febbraio 2023

Repubblica Democratica del Congo: il valore dell’uomo nella gioia di un incontro

 Scrivo ormai molto di rado su questa lavagna, ogni tanto ritorno qui ed aggiorno... In questo caso condivido un editoriale che ho scritto mentre ero con i giornalisti al seguito del Papa nel viaggio in Congo e Sud Sudan. Un viaggio davvero toccante. Queste righe le ho scritte mentre lasciavamo Kinshasa per arrivare a Giuba... Le redazioni di Radio Vaticana - Vatican News hanno lavorato intensamente per restituire a quei popoli ciò che il mondo continua a




L’Africa vista dalla Repubblica Democratica del Congo è molto diversa rispetto a quando si è fuori da questo continente. Basta un solo giorno e l’angolo della prospettiva si alza incredibilmente, diventa possibile riconoscere ciò che da molte altre latitudini, paradossalmente, sfugge e si dimentica: qui il cuore dell’uomo è capace di gioire per un incontro. La pace, la concordia, la fratellanza in effetti nascono dalla relazione, che in questo luogo si tocca e si vede.

Nella terra dei diamanti si festeggia se un amico viene a trovarti, si è onorati della visita di un parente, di un nonno, che condivide la sua storia, la saggezza di una vita intera. La parola gioia non è stata svuotata di significato, non è superficiale, ma appare piena, perché non si aggancia ad un momento effimero, ma all’uomo. E’ la gioia dell’incontro che ha riempito di gente, accalcata su più strati: le strade, i cavalcavia, l’aeroporto di Ndololo, lo stadio dei Martiri, durante la visita di Papa Francesco. Il desiderio era quello di vedere, ascoltare, ma anche salutare, omaggiare, festeggiare, condividere. E questa gioia, in Africa, si canta, si suona, si balla. Emozioni riflesse negli occhi spesso inumiditi dalle lacrime, nei sorrisi spalancati di bambini, adulti ed anziani, che si sono ritrovati a camminare insieme al Successore di Pietro, a seguire la consapevolezza della speranza che si fonda in Cristo.

In questo Paese, dove un europeo probabilmente non troverebbe le “comodità irrinunciabili” a cui è abituato, è possibile rintracciare la radice vivida di ogni cosa, sia nel bene, sia nel male. Forse accade perché l’uomo non è stato anestetizzato dall’opulenza del benessere, o perché qui il tempo non è ancora del tutto scandito dalla frenesia del fare, ma dal respiro del sole, della natura. Kinshasa è una città caotica e disordinata, in cui le baracche, su strade sterrate ed asfaltate, si alternano a cumuli di rifiuti, palazzi in costruzione, abitazioni curate e scheletri in cemento armato.

Il traffico sembra non avere regole, i veicoli se non sono imbottigliati, si spostano, sfrecciando velocemente, continuamente a destra e sinistra. La maggior parte delle auto sono ammaccate, con gli specchietti retrovisori legati con fili e nastro adesivo per non cadere, le portiere dei pulmini per il trasposto pubblico sono spesso aperte per consentire di stipare più gente possibile, alcuni viaggiano in piedi sporgendo di fuori. La polizia e i militari presidiano le strade, hanno lunghi sfollagente che agitano contro chi viola le direttive. Sulle motorette si sale anche in quattro. Tantissimi i bambini che giocano dietro lamiere colorate che delimitano spazi vuoti, le donne trasportano sulla testa sacchi di ogni dimensione.


Lo sguardo degli abitanti è sempre lo stesso: ti attraversa. In questa terra in cui vivono e si scontrano le contraddizioni della ricchezza del sottosuolo e della povertà, della bellezza della natura e della guerra, ciò che prevale è la spinta inarrestabile del popolo, tutta proiettata in avanti. “La Repubblica Democratica del Congo sarà un paradiso”. Questa speranza non è un’attesa, una chimera, ma ciò che si ascolta da una generazione intera, da chi, portando Cristo, costruisce giorno dopo giorno tra le macerie, la corruzione, gli scartati, le violenze, i soprusi, lo sfruttamento e la divisione tribale.


Forse però è proprio questo che spaventa chi depreda, schiaccia e silenzia l’Africa, chi cerca di relegarla ad un problema da risolvere o Stati da aiutare. Tutti qui ricordano le due visite di San Giovanni Paolo II, ma anche quella recentissima del cardinale Parolin, venuto a luglio in rappresentanza di Francesco, che ha rimandato il viaggio a causa del dolore al ginocchio. Il segretario di Stato vaticano ha portato la promessa che il Santo Padre sarebbe venuto. “E’ passato un anno” ha sospirato il Pontefice sull’aereo in direzione Kinshasa. Il Papa è stato di parola e questo popolo non lo dimentica, si sente onorato, rispettato, amato. Francesco ha alimentato nel Paese, in cui la Chiesa è rigogliosa, la certezza dell’orizzonte, la consapevolezza del legame in Cristo.


Questo continente sta crescendo enormemente, non solo in termini di prodotto interno lordo, ma le opportunità non verranno dal coltan, dal petrolio, dalle pietre preziose - certamente saranno strumenti - ma dalla memoria dell’uomo, dalla voglia d’incontro, dalla vitalità, dalla giovinezza, dal desiderio di questi popoli, i quali consentiranno a tutta l’umanità di vivere nuove sfide, di cambiare, crescere, svilupparsi. E’ questo il ribaltamento di prospettiva portato dal Papa che ha indicato la luce di Cristo quale faro da seguire, perché in Lui le logiche coloniali o predatorie si dissolvono consentendo all’uomo di diventare se stesso in relazione agli altri.

sabato 7 gennaio 2023

Francesco tocca la bara di Benedetto XVI: immagine che si fa tempo e storia

L'amore non si perde, come ha detto Francesco durante l'Omelia per l'ultimo saluto, in piazza San Pietro, al Papa emerito, il 5 gennaio. Condivido un contributo pubblicato su Sky...



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venerdì 5 agosto 2022

Archie Battersbee non è una foglia secca

Nelle terapie intensive la vita è un suono ad intermittenza di un monitor o una pompa che porta l’aria ai polmoni. La vita è sacra, sempre. Eppure alcuni devono morire perché leggi, sentenze, altre persone hanno deciso che così deve essere. 

Archie Battersbee, ha dodici anni e fino a poco fa andava a scuola e giocava in una delle città più avanzate al mondo, Londra, almeno secondo i parametri economici e di sviluppo. Eppure il suo Paese non solo non riesce a proteggerlo, ma non ascolta la mamma Hollie e il papà Paul, che vogliono tentare ogni mezzo per salvare la vita del proprio figlio. 

Archie è in coma dal 7 aprile scorso. Lo hanno trovato privo di conoscenza, con dei segni attorno al collo come se avesse provato a soffocarsi, nessuno sa il perché, l’ipotesi è quella di un folle gioco online. Da quella data la mamma e il papà, invece di essere sostenuti e supportati, lottano contro coloro che dovrebbero cercare ogni via per salvare la vita. 

Per i medici del London Royal Hospital, dove il piccolo è ricoverato, non c’è più nulla da fare: si tratta di morte cerebrale e la condizione è irreversibile, quindi vanno sospesi tutti i trattamenti che tengono in vita il bambino. Hollie continua a ribadire che dei medici di altre nazioni, tra cui l’Italia, sono disponibili a tentare di salvare la vita di Archie. 

Quattro mesi di battaglie legali, ricorsi interni ed esterni, arrivati fin nelle sedi europee e delle Nazioni Unite, ma tutte le porte sono rimaste chiuse fin’ora, nulla ha arrestato lo spettro della morte. Alle 11 di ieri, le 10 in Italia si sarebbe dovuto fermare il supporto vitale. 

Difronte all’ineluttabile i genitori del piccolo Archie hanno chiesto il trasferimento in un hospice, guadagnando ancora tempo per il figlio. La posizione dei medici londinesi è ancora una volta negativa, perché secondo loro, lo spostamento potrebbe comportare un peggioramento per il piccolo ed essere fatale. 

Il Papa più volte ha parlato di “colonizzazioni ideologiche”, dove tutto viene ribaltato, e allora i migranti mettono paura, i nascituri  si possono sopprimere, l’eutanasia viene incentivata, gli anziani non produttivi abbandonati... Francesco durante l’ultimo viaggio apostolico in Canada è tornato proprio su “l’imposizione dei modelli culturali prestabiliti”, che “contrastano la realtà dell’esistenza”. “È una mentalità - ha detto - che, presumendo di aver superato le ‘pagine buie della storia’, fa spazio a quella cancel culture che valuta il passato solo in base a certe categorie attuali. Così si impianta una moda culturale che uniforma, rende tutto uguale, non tollera differenze e si concentra solo sul momento presente, sui bisogni e sui diritti degli individui, trascurando spesso i doveri nei riguardi dei più deboli e fragili: poveri, migranti, anziani, ammalati, nascituri… Sono loro i dimenticati nelle società del benessere; sono loro che, nell’indifferenza generale, vengono scartati come foglie secche da bruciare”. 

Archie non è una foglia secca, è un bambino in carne ed ossa, come lo erano Charlie Gard, Alfie Evans e lo è Tafida Raqeeb, curata in Italia dopo il braccio di ferro con le autorità sanitarie londinesi. Curare non significa esclusivamente guarire, ma farsi carico: di chi sta soffrendo, di chi è debole, di chi è fragile. Questo costa molto di più, in termini economici e d’investimenti, rispetto a staccare le macchine che tengono in vita una persona, ma è lo specchio di una società che si riconosce creatura e quindi protegge e aiuta l’uomo o di una società autoreferenziale, che avendo tagliato ogni nesso, sfrutta, distrugge e divora.

@VaticanNews.va

mercoledì 3 agosto 2022

Francesco in Canada: il dono delle lacrime

Nella società di oggi ci sono immagini che fanno il giro del mondo in pochi secondi, condivise sui social media grazie ai telefoni e ai pc: migliaia, milioni, se non miliardi di persone si ritrovano spesso inconsapevolmente a guardare la stessa istantanea. Ci sono linee, colori e forme che svaniscono nel vortice della condivisione, altre rimangono impresse nella memoria per sempre, altre ancora vengono custodite esclusivamente nel cuore. Nel viaggio di Papa Francesco in Canada, dal 24 al 30 luglio scorsi ce ne sono tante, di queste istantanee che raccontano molto di più di un evento: aprono spazi, mostrano silenzi, dolore e sofferenza, ma anche appartenenza, riconoscimento, incontro, speranza.


Il Papa ha compiuto, come lui stesso ha indicato, un pellegrinaggio penitenziale in una terra che ha visto il martirio dei popoli indigeni a cui sono stati strappati i figli al tempo delle politiche di assimilazione e affrancamento. Francesco si è messo in cammino, portando la luce di Cristo, della Chiesa che vede, che non ha paura della verità e di chiedere perdono, che abbraccia, ascolta, ama. Una Chiesa che è vicina ad ogni bisognoso, senza esitazioni, senza dubbi, senza remore, senza ostacoli.

In sei giorni il Papa ha attraversato il Canada toccando le periferie del cuore e quelle geografiche, giungendo fino ai confini del circolo polare artico dove vive la più grande comunità Inuit del pianeta. A Iqaluit ha incontrato gli ex alunni delle scuole residenziali presso una delle quattro scuole elementari: le terribili strutture create per rieducare gli indigeni strappati alle loro famiglie, luoghi di atrocità e violenze. Francesco è entrato in una stanza di questa struttura, che ricorda una grande scatola bianca, con oblò distribuiti sulle pareti sfaccettate e sporgenti.

È entrato in silenzio; lo attendevano alcune decine di persone disposte su più file, in cerchio. In maggioranza erano anziani, vestiti semplicemente, alcuni in abiti tradizionali. Le mani piegate dagli anni sono andate al volto. Sui visi immobili, quasi inespressivi, fissi con lo sguardo sul Successore di Pietro scendevano lentamente lacrime. In quell’istantanea - ripetutasi tante volte durante il viaggio - c’è molto di più di una singola vita, c’è il grido soffocato di un popolo. Uomini e donne che, anche a causa dei cattolici, hanno vissuto orrori e che in quell’incontro si sono visti riconoscere, toccare, abbracciare, amare. Lacrime che disegnavano baratri, sofferenze, speranze davanti alle quali si può solo tacere, aprire le braccia, accogliere.

Il Papa nei giorni della visita apostolica ha indicato un cammino di riconciliazione e guarigione, come nei mesi scorsi in Vaticano quando ha ricevuto i rappresentanti dei popoli indigeni First Nations, Inuit e Métis. Ha avviato un processo, un orizzonte a cui bisogna arrivare, che va costruito e alimentato. La presenza del Papa è stata una “benedizione e un dono” ha detto Chief Wilton Littlechild, sottolineando che ora “inizia il lavoro”. Littlechild è il capo indigeno sopravvissuto alle scuole residenziali, oggi settantottenne, che ha donato al Papa un copricapo indiano nell’incontro a Bear Park Pow-Wow Grounds, a Maskwacis.

Una fotografia straordinaria, quella del pontefice con le piume d’aquila, ma lo scatto del cuore è diversi fotogrammi prima: quando questo gesto di condivisione si è reso possibile e per capirlo bisogna ribaltare completamente la scena. Si è giunti a quel dono che indica un riconoscimento – costato a Littlechild uno sforzo fisico notevole, poiché ordinariamente è costretto a camminare con l’ausilio di stampelle o muoversi in carrozzina: invece ha percorso da solo alcuni metri, salendo le scale per arrivare sul palco dove era Papa – perché gli indigeni hanno riaperto il cuore e l’orecchio all’Annuncio, alla realtà di una Chiesa viva, diversa da quella che li ha umiliati e schiacciati.

Un orrore impresso sul lungo striscione rosso con su scritti i nomi delle vittime delle scuole residenziali, mostrato al Papa, mentre il suono dei tamburi attraversava i corpi e si fondeva con il battito del cuore di ognuno. Indimenticabile l’immagine di dolore, commozione e rabbia di Si Pih Ko, dritta davanti al Papa con intorno la folla ammirata e l’indecisione degli uomini della sicurezza mentre intona, in un fuori programma, un canto che nei suoni ricorda l’inno canadese.

Poi, il Papa seduto sulla sedia a rotelle davanti al silenzio del Lago di Sant’Anna, luogo caro agli indigeni, dove migliaia di persone ogni anno si recano in pellegrinaggio. E dove, mentre Francesco parlava, le mani dei nonni stringevano quelle dei più giovani per sorreggersi vicendevolmente.

Immagini di sofferenza, fierezza, passione, identità, danze, silenzio, preghiera, lacrime hanno accompagnato dunque questo pellegrinaggio penitenziale che avvia una prospettiva nuova e assegna compiti e obiettivi a singoli e istituzioni, ma che rappresenta anche un’opportunità per l’intera umanità, per tutti noi, di seguire vie di condivisione e fraternità, di ascoltare e porre lo sguardo sull’uomo e il creato, riconoscendoci figli di Dio.

@Vaticannews

sabato 25 giugno 2022

Sentenza Corte suprema. L’aborto si combatte con verità, consapevolezza e aiuti

 La Costituzione non conferisce il diritto all’aborto, così la Corte suprema degli Stati Uniti d’America ha abolito la sentenza, sul caso “Roe contro Wade”, che dal 1973 aveva legalizzato l’interruzione volontaria di gravidanza nel Paese. Da oggi saranno i singoli Stati a dover decidere, perché il diritto di interrompere una vita non è più garantito sul piano Federale.


La decisione apre una nuova fase di confronto in un Paese dalle forti contraddizioni (dove chi pro-life magari compra un’arma per difendersi e spara), capaci di convivere con un indubbio sentimento nazionale. Nel 2020 nel Paese del “sogno americano” gli aborti sono stati circa 930mila (https://www.guttmacher.org/), quasi un’interruzione su cinque, il triplo di ciò che avviene in Italia. La decisione della Corte però apre non solo il dibattito e il confronto, ma afferma una speranza, quella che la vita sia vista per ciò che è: un dono di Dio. L’aborto è un omicidio come ci ricordano tutti i Papi della Chiesa, da quando questo termine è entrato nella storia dell’uomo. Papa Francesco durante il volo di ritorno da Bratislava, 15 settembre 2021, lo ha ribadito chiaramente: “L’aborto… senza mezze parole: chi fa un aborto, uccide”.

Nella esortazione apostolica Evangelii Gaudium sottolinea che la “difesa della vita nascente è intimamente legata alla difesa di qualsiasi diritto umano. Suppone la convinzione che un essere umano è sempre sacro e inviolabile”. Francesco ricorda continuamente che stare dalla parte della vita non vuol dire però occuparsene solo al suo inizio o alla sua fine, ma significa difenderla sempre. Vuol dire aiutare chi bisognoso, chi fugge da sofferenze e guerra, chi afflitto da malattie, prendersi cura di chi è fragile, discriminato, di chi ha subito violenze… anche soprattutto di chi pensa all’aborto perché schiacciato da paure e angosce.

L’aborto si combatte con verità, consapevolezza e aiuti. Probabilmente sessanta anni fa le conoscenze mediche, scientifiche non fornivano sull’inizio della vita la chiarezza che abbiamo oggi. Basti pensare che l’ecografia inizia ad essere usata negli anni settanta.

Oggi la ricerca e la medicina ci danno la possibilità di affermare senza ombra di dubbio che la vita inizia da quando due cellule si incontrano, dal momento del concepimento inizia il processo inarrestabile della duplicazione e diversificazione: la persona.

La vita tutta va protetta e per farlo è necessario aiutare le mamme, perché si è mamma subito dopo il concepimento, a prendersi cura del bambino in grembo. Servono aiuti economici, certezze lavorative, corsie preferenziali se necessario per l’ottenimento e il mantenimento di un impiego; la certezza di una casa, l’assistenza medica, sostegni economici, psicologici, religiosi, il calore di chi ama … anche attraverso strutture come "le case famiglia", ma questo costa molto in termini di denaro e allora si sceglie l’ideologia fusa alla menzogna che strutta la via della barricata, della contrapposizione, della chiusura e l’intervento chirurgico che recide il cordone della vita diventa scelta assoluta.

Ciò che serve invece è costruire, dialogare, trovare il modo per riaprire gli occhi e saper guardare. La sentenza della Corte degli Stati Uniti è in questo senso un’opportunità, per il mondo intero, di vedere, interrogarsi, cambiare. 

giovedì 10 marzo 2022

Ucraina: La Radio Vaticana aderisce a Beethoven call for solidarity

Oggi giovedì 10 marzo tutti i canali radiofonici della European Broadcasting Union (Unione Europea di Radiodiffusione), la maggiore associazione mondiale dei media di servizio pubblico, di cui la Radio Vaticana è membro fondatore, promuovono l’iniziativa Beethoven call for solidarity. Le emittenti sono invitate a trasmettere, in qualsiasi momento della giornata, la 9a Sinfonia in re minore op 125 di Beethoven (completa o nella parte con l'Inno alla gioia). Anche l’emittente vaticana aderisce all’iniziativa a favore della pace del dialogo.


"Un'iniziativa semplice, ma significativa - sottolinea il responsabile della testata Radio Vaticana/Vatican News Massimiliano Menichetti - che rimarca in musica, l'imprescindibile impegno per la costruzione del legame di fratellanza fra gli uomini e i popoli. In questo momento in cui l'orrore della guerra, ferisce milioni di persone, minacciando gli equilibri mondiali. Ci uniamo alle emittenti in Europa e alla radiotelevisione nazionale ucraina, che continua non senza difficoltà il proprio servizio. 


La Radio Vaticana, per garantire una pluralità di voci, sta valutando l'ampliamento delle proprie trasmissioni in onda corta verso la Russia e l'Ucraina per essere più vicino alle popolazioni. Attualmente con i nostri inviati siamo lungo i confini della Romania, Ungheria, Moldavia e Polonia, dove la crisi umanitaria assume dimensioni drammatiche. Cerchiamo di portare la speranza del Vangelo, un'informazione puntuale, preghiera e note. Nella nostra struttura lavorano fianco a fianco persone provenienti da 69 nazioni: russi, ucraini, statunitensi, etiopici, eritrei, siriani, libanesi, cinesi... tutti impegnati in una narrazione che costruisce, ispirati da quello sguardo più grande che sgorga dal Vangelo: che ama e accoglie l'uomo".


Ad aprire la giornata con Beethoven (alle ore 9.00) il programma in lingua portoghese, poi (alle 11.30) i programmi in lingua albanese, araba, armena, bielorussa, bulgara, ceca, cinese, croata, eritrea, etiopica, francese, hindi, malayalam, tamil, inglese, kiswahili, lettone, lituana, polacca, romena, russa, slovacca, slovena, spagnola, tedesca, ucraina, ungherese, vietnamita, a trasmettere la Nona beethoveniana nella interpretazione di Sir Simon Rattle sul podio dei Wiener Philharmoniker. Questo flusso audio si potrà ascoltare sul portale Vatican News.


Alle ore 22.00 il programma, in lingua italiana, Spazio EBU (su 105FM, DAB+, satellite e sul portale Vatican News) manderà in onda la Nona Sinfonia nella interpretazione di Bernard Haitink sul podio di coro e orchestra della Radio Bavarese, con solisti Sally Matthews soprano, Gerhild Romberger contralto, Mark Padmore tenore e Gerald Finley basso. Il concerto è stato registrato a Monaco il 22 settembre 2019.

martedì 8 marzo 2022

Ucraina: donne esempio di speranza, forza e amore

 Condivido anche qui l'editoriale che ho scritto l'8 marzo 2022 su Radio Vaticana - Vatican News per ogni donna, in questa giornata in cui convergono emozioni, azioni, riflessioni, ricordi, dolore e speranze.


La giornata internazionale della donna quest’anno non può non guardare il coraggio, la forza, la prova sopportata in Ucraina, dove le donne sono costrette a lasciare le proprie case, per proteggere i figli. Donne che pregano. Donne che decidono di rimanere al fianco dei propri mariti per resistere ai carri armati che avanzano e ai razzi che esplodono. Donne che allattano tra le macerie e sotto il tiro dei mortai, donne che soccorrono, preparano il cibo, che danno alla luce la vita, nuova speranza, aspettando ore alle frontiere. 

Donne alla guida di auto e camion, perché la nazione è sotto attacco. Donne in marcia con le poche cose raccolte, tra freddo e neve. Donne che perdono la vita, che sono violentate, bambine colpite da bombe e proiettili. Chi può accettare tutto questo orrore? 

Fuori dall’Ucraina altre raccolgono aiuti, lavorano in politica, in diplomazia per trovare soluzioni, protestano nelle piazze, vengono arrestate e picchiate. Donne: figlie, sorelle, madri, mogli, amiche, a costruire società, sostenere economie, portare istruzione e creatività, custodire il creato, proteggere l’umanità. Donne imprigionate. 

“Ferire una donna è oltraggiare Dio” ha detto il Papa il primo gennaio di quest’anno, quando le ombre della guerra in Europa ancora non si vedevano, ma avanzavano silenziose, come spesso gli abusi, la violenza, nei confronti delle donne nel mondo. Vittime, troppo spesso nell’omertà, di violenze psicologiche e fisiche, bambine costrette a sposarsi in matrimoni combinati, obbligate a prostituirsi, a lavorare, a non studiare, uccise e che vedono morire i figli in guerra. Chi può tacere per tali abomini? 

Donne nell’ordinario, sostegno, aiuto e guida, eroiche, anche quando l’ordinario è distruzione. Donne che in ogni parte del globo si oppongono a logiche di separazione e inimicizia, che lavorano per l’unità. 

Nella storia della Chiesa tante sono Sante, fari che hanno portato la luce salvifica di Cristo nel loro tempo e oggi in un’Europa ferita da ingiustizie e orrori. Patrone d’Europa, protettrici di questo continente come: Santa Brigida, Ildegarda di Bingen, Teresa Benedetta della Croce e Caterina da Siena. L’affidamento in queste ore è a Maria, la Madre di Dio, affinché cessi ogni violenza in Ucraina e nel mondo e ogni uomo e donna possano vivere in pace.


sabato 29 gennaio 2022

Christian music: un mondo da scoprire

 


Tutto pronto per la prima edizione del Festival della Canzone cristiana, che si svolge nella cittadina ligure con il patrocinio del Comune e il sostegno della Diocesi. Appuntamento dal 3 al 5 febbraio all’Auditorium di Villa Santa Clotilde, Opera San Orione. Radio Vaticana – Vatican News sarà media ufficiale...

giovedì 9 dicembre 2021

Grecia: quella domanda del Papa riflessa negli occhi dei profughi

Sono stato con i giornalisti che hanno seguito il Papa a Cipro e in Grecia dal 2 al 6 dicembre... Un viaggio indimenticabile, come tutti quelli in cui "incontri": storie, realtà, ambienti, persone. Toccante la giornata a Mytilene, sull'isola di Lesvos, dove ora sono accolti alcuni rifugiati...
Condivido l'editoriale pubblicato su Vatican News

“Qualunque Paese va bene, l’unica cosa che cerco per me e per la mia famiglia è un luogo in cui vivere”. È sempre questa semplice e struggente risposta che si sente nel campo profughi di Mytilene, sull’isola di Lesvos, che oggi ospita circa duemila persone: iracheni, siriani, afghani, iraniani… fuggiti da guerra, violenze, persecuzioni, fame. Il campo, circondato dal filo spinato legato sui muri in cemento, affaccia su mare cristallo dove i cordoli artificiali di terra bloccano la risacca e l’accesso. In quel limbo di salvezza, non si lavora, si aspetta. Si attende la firma su un foglio, il permesso di soggiorno, che offre, senza alcuna certezza, la possibilità di ricominciare a vivere. Intanto in quel Campo i giorni possono diventare anni. I bambini giocano con bastoncini di legno, pezzi di ferro raccolti dove capita, con i passeggini rimasti senza ruote, con tanta fantasia. Tutti aspettavano l’arrivo di Francesco: “Un uomo saggio - dice una donna con il velo in testa e gli occhi lucidi - che porta la speranza”. Le storie in questi luoghi sono terribili: migliaia di chilometri percorsi a piedi, senza cibo, senza riparo, torture, privazioni, paura, sfruttamento. Molti hanno visto morire i propri cari, i propri amici. Un bambino guarda fisso il padre che mostra, ai giornalisti al seguito del Papa, le braccia deturpate dalle ustioni che gli hanno provocato i talebani. Dice di venire dall’Afghanistan, che non ha più nulla, che è fuggito per non morire, e per salvare la sua famiglia. Accanto la moglie gli stringe la mano. Più avanti telecamere e obiettivi puntano una donna che scoppia a piangere, mentre un uomo su una sedia a rotelle aspetta, senza scarpe, nella speranza di incontrare il Papa.

Tutto intorno i container bianchi, con i numeri identificativi, disegnano viottoli squadrati, tagliati dai fili per stendere i pochi abiti logori che ognuno possiede. Su quelle stradine posticce, fatte di sassi ci sono carrelli della spesa pieni di taniche di acqua, carrozzine, biciclette, bacinelle, barattoli, cavi, stendini e teli di plastica che coprono baracche in legno addossate alle strutture in resina. All’ingresso del Campo c’è la periferia di questo luogo, fatta di tende e rattoppi. Il Papa è venuto a stringere questa umanità, simbolo di chi viene relegato: dove il mare non ha un buon profumo, non è una strada per viaggiare o con cui giocare, ma un confine invalicabile che spesso uccide. Francesco ha attraversato il muro più difficile da infrangere, quello di cristallo: tutti possono venire e vedere la povertà, l’orrore dell’abbandono e della sofferenza, ma chi vive in posti come questo può solo guardare cosa accade davanti a sé, non può attraversare. 



Francesco ha spezzato questo confine, infranto questa ennesima barriera, cambiato le regole dell’egoismo, della burocrazia e d’indifferenza: toccando, ascoltando, portando con sé, chiedendo che l’uomo sia amato, che non ci si volti dall’altra parte difronte alla sofferenza. Una domanda rivolta ad ognuno di noi, riflessa negli occhi di ogni bambino, uomo e donna che chiede aiuto e che in nessun modo si può ignorare.

domenica 25 luglio 2021

Sotto l'ombrellone - Estate 2021



Sono in spiaggia, sotto l’ombrellone, alla mia sinistra, una coppia con un cagnolino. L’ora è calda ed il mare cristallo. Tra asciugamani e lettini fa lo slalom un ragazzo con la pelle nera: vende stoffe, teli prendisole e qualche collana. Parla un perfetto italiano. Il volpino inizia ad abbaiare contro il venditore ambulante. La padrona mostra soddisfazione: “Fa sempre così quando li vede”. L’uomo  che è con lei incalza: “Fai bene bravo!”. Tutt’intorno, c’è chi abbassa gli occhi e chi annuisce. Il ragazzo frettolosamente scompare tra gli ombrelloni. 

Penso a mio nonno: contadino (ha sempre amato la terra), commerciante, prigioniero in Africa durante la Seconda Guerra Mondiale, venditore ambulante, emigrato in Canada nell'aprile del 1954, per 15 anni (tornò una prima volta dopo 7 anni). Dante partì perché “in Italia praticamente non c’era lavoro e quel poco bastava per farti mangiare, ma non per far creare un futuro, studiare i figli”. Quando s’imbarcò lasciò nonna Iolanda - altro gigante di amore e determinazione - crescere la famiglia, quattro figli, con lei c’era Emilia la mamma di Dante. Il nonno ribadiva quanto fosse importante imparare la lingua del posto, non amava l’italianizzazione delle parole: “Ogni giorno una parola nuova”, per poter capire, farsi capire e aiutare gli altri italiani. 

Il Canada nei suoi racconti era una terra bellissima, affascinante, ricca di opportunità e rispetto, un luogo in cui vivevano persone corrette. Tra i tanti racconti amava ricordare quando comprarono una casa in Italia. Il nonno e la nonna decidevano tutto insieme, i dialoghi, a mezzo posta, duravano mesi. Per poter perfezionare l’acquisto Dante avrebbe dovuto ritirare parte dei risparmi depositati in banca. La mattina in cui avrebbe dovuto inviare i soldi, il responsabile dell’istituto di credito, dove il nonno aveva il conto corrente, si trova a percorrere con la sua automobile la stessa via. 

Il direttore della filiale lo riconosce, suona un colpo di clacson e gli da un passaggio. Durante il viaggio l’uomo apprende che mio nonno avrebbe ritirato parte dei risparmi: “Non può ritirarli oggi, perderebbe gli interessi che ancora non sono maturati, chiamerò in Italia garantendo la presenza della somma necessaria all’acquisto. I soldi saranno trasferiti a fine mese”. Ogni volta che il nonno ricordava questo evento gli occhi si velavano di commozione, per gratitudine credo. 

La nonna, quella sera, vide arrivare una macchina, ebbe una gran paura che fosse successo qualcosa, erano i funzionari della banca italiana venuti ad avvertire della garanzia ricevuta. “Questo era il Canada”, lo stesso Paese, che quando mio nonno si infortunò con un cavo d’acciaio, che gli colpì una gamba, lo trasferì in aereo per un intervento chirurgico, preoccupandosi di ogni aspetto: sanitario, assicurativo, riabilitativo… 

In altri Paesi non era sempre così, a volte: “gli italiani venivano sfruttati, umiliati, scacciati, quasi guardati come animali”. Il cuore degli italiani è grande, e lo è davvero. Siamo un popolo generoso, accogliente, solidale, forte, caritatevole, compatto, in cui brillano eccellenza, creatività, passione, arte… Questi siamo noi, non dobbiamo dimenticarlo mai. Il punto non è solo ricordare chi eravamo, in modo da poter guardare l’Altro - questo aiuta certo - il punto è porgere una mano per primi, è riconoscere lo sforzo di chi cerca con sacrificio e difficoltà, di cambiare un destino duro e difficile, è ricordarsi che “nessuno si salva da solo”, come direbbe Papa Francesco.



domenica 4 aprile 2021

Papa Francesco in Iraq: la speranza che vince l'orrore

Il viaggio in Iraq con il Papa (dal cinque all'otto marzo) è stato commovente, non trovo parola più appropriata. Occhi e mani protesti nell'accoglienza, in una terra devastata dall'odio e che ancora affronta le sue spire. Il cielo plumbeo di Fiumicino ha salutato l'avvio di 4 giorni indimenticabili.



Ad un mese da questo viaggio condivido l'editoriale pubblicato su Vatican News, per portarvi in quella terra dove la speranza ha vinto la paura ed il dolore.


Baghdad


“Per noi è stato come svegliarci da un incubo, non credevamo ai nostri occhi, il Paese davvero può rialzarsi”. Si racchiude in queste semplici parole la speranza di un intero popolo, quello iracheno, che ha abbracciato il Papa dal cinque all’otto marzo scorsi. 


Mosul


L’immagine di questo viaggio è scolpita in un’istantanea
 a Mosul, quella che fu la capitale dell’Isis, dove le macerie sono crivellate da migliaia di proiettili, dove guardando chiese, case, moschee distrutte e deturpate, si tocca la violenza dei combattimenti, la furia dell’uomo che distrugge, calpesta, annienta suo fratello.


Musul

In quel contesto, dove l’orrore è sembrato prevalere, il Papa è stato salutato dal canto dei bambini che agitavano ramoscelli d’ulivo. Altri, poco distanti da quell’incontro, giocavano su uno spiazzo sterrato; l’asfalto è rimasto solo nelle vie centrali. Una bambina di quattro, cinque anni, vestita con una tutina rosa a fiori ed un paio di ciabattine, si stacca dal gruppetto di compagni e cammina all’indietro. Inconsapevolmente si ferma davanti alle gambe di un militare. Lo guarda percorrendone con gli occhi tutta la figura, dai piedi alla testa.

Il militare con le bombe in vita, il casco, gli occhiali per proteggersi dal sole, piega il collo ed incontra lo sguardo della piccola, con il viso sporco di terra come il resto del corpo. Dietro di loro solo le macerie di quelle che erano case. Gli sguardi s’incrociano nonostante quelle lenti scure, l’uomo accarezza la piccola sulla testa e la solleva. Lei esplode in un sorriso, che un istante dopo lui ricambia. In quell’immagine c’è tutto il presente e futuro dell’Iraq.


Baghdad

Un viaggio memorabile quello di Francesco, primo Papa a mettere piede nella terra di Abramo. Ha incoraggiato e confermato nella fede la comunità cristiana, che insieme ai musulmani e alle minoranze presenti, come gli yazidi, ha vissuto sofferenze indicibili. Un viaggio storico per il ponte tracciato con gli sciiti dopo quello con i sunniti ad Abu Dhabi, per l’accoglienza che ha ricevuto, ma soprattutto per la luce di bene e riscatto che ha portato in un luogo devastato dalla guerra, dalle violenze e dalle persecuzioni perpetrate dall’Isis, e che ora vive le piaghe della povertà e della pandemia da covid-19

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Baghdad


Ciò che colpisce è la militarizzazione: ovunque uomini in assetto da guerra, con spessi giubbotti antiproiettile, cinture con bombe a mano, caschi con visiere di precisione ed armi pesanti; decine di pick-up lungo le strade con le mitragliatrici, carri armati e blindati. Lungo le vie, mentre passa il corteo papale, le persone non autorizzate a stare ai bordi con bandierine e striscioni, erano lontane decine di metri con le mani dietro la schiena. Tante le bandiere vaticane, gialle e bianche, fatte sventolare lungo i muri con il filo spinato a Baghdad, Nassirya, Ur, Mosul, Qaraqosh, Erbil.


Qaraqosh


L’Iraq ha subito nel 2020 circa millequattrocento azioni terroristiche, il lavoro è difficile da trovare, le difficoltà economiche sono una realtà drammatica, ma il Paese non è solo questo, anche se questa è la narrazione che prevale, spesso l’unica. Un racconto che non lascia spazio a chi aiuta l’altro, a chi s’impegna per una realtà fatta di condivisione e ricostruzione.



Baghdad

Il viaggio del Papa ha acceso una luce diversa sul Paese e per la prima volta dopo decenni si è parlato di Iraq anche in termini positivi, di accoglienza, di prospettive, di futuro. Cristiani e musulmani hanno consegnato a Francesco le proprie sofferenze, ma anche la propria fede, la propria forza, la volontà di voler rimanere, rimettendo in piedi una terra che nel passato è stata culla di antiche civiltà ed esempio di convivenza pacifica. Tutti hanno ascoltato quelle che hanno definito “le parole grandi” pronunciate da un uomo saggio.


Verso Nassirya


I cristiani si sono ritrovati in preghiera con il Successore di Pietro, diventando una luce per il mondo intero. Un popolo concreto, segnato da storie di sofferenza indicibile, che cerca di vincere l’odio e non accetta di diventare un serbatoio di terrore e fondamentalismo. Il Papa ha portato un fermento nuovo, in una realtà abituata a sentirsi raccontare con colori scuri e mortiferi. A Baghdad dove muri e perimetri blindati proteggono i fedeli di chiese e moschee, i palazzi semi abitati si alternano a piazze illuminate a festa e quartieri poverissimi, dove l’architettura mostra la discontinuità degli stili e le crepe dei combattimenti.



Baghdad


Francesco ha ricordato i martiri, condannando ogni forma di fondamentalismo, si è stretto alla comunità cristiana e ad ogni persona che ha sofferto e continua a soffrire. Nonostante la pandemia, intere famiglie si sono radunate dietro i blindati chiamati a formare cordoni e separazioni, anche solo per vedere un istante “l’uomo di pace” venuto da lontano. Ad Ur dei Caldei, dove si è tenuto l’atteso incontro interreligioso, il vento del deserto soffiava tra le reti di protezione poste lungo il tragitto dall’aeroporto di Nassirya. Qui, dove la tradizione indica la casa di Abramo, alle cui spalle sorge una delle Ziggurat più grandi al mondo, si sono viste le stelle del cielo in pieno giorno, il firmamento che il Papa ha indicato come bussola, per camminare sulla terra, per costruire percorsi d’incontro, dialogo e pace.



Ur



I presenti hanno parlato di “incontro straordinario, inimmaginabile”, rendendo grazie a Dio in lingue diverse. Indimenticabili la gioia e la commozione della comunità di Qaraqosh, dove la maggioranza degli abitanti è cristiana. Il Papa ha ascoltato le ferite e la testimonianza di fede di chi ha visto uccidere dall’Isis: figli, mogli, fratelli. Ha sentito chiedere perdono per gli assassini. Qui, sui volti di anziani e giovani, vestiti a festa, sono scese le lacrime quando il Papa ha scandito le parole “Non siete soli”.  


Erbil

Il saluto di speranza dell’Iraq al Papa è diventato visibile nel grande stadio di Erbil, nel Kurdistan iracheno, dove tanti iracheni e siriani hanno trovato rifugio. Oltre 10 mila persone, arrivate da ogni parte del Paese, hanno pregato con Francesco, aspettando in raccoglimento e silenzio, con una nuova speranza nel cuore: che un Iraq diverso è possibile. 

venerdì 12 febbraio 2021

Radio Vaticana compie 90 anni

Quasi 12mila ore di trasmissione in un anno, tra radiocronache, programmi informativi, liturgici e musicali. È la carta d’identità della Radio Vaticana, l’emittente della Santa Sede, voluta da Pio XI, che la affidò alla Compagnia di Gesù, e che venne costruita da Guglielmo Marconi novanta anni fa. Oggi trasmettiamo in 41 lingue e ogni giorno portiamo le parole del Vangelo e la voce del Papa in tutto il mondo.


Questo anniversario è per noi particolarmente impegnativo. Celebriamo infatti il novantesimo mentre è in corso una delle prove più grandi per l’intera umanità a causa della pandemia da COVID-19. La nostra missione è da sempre non lasciare nessuno da solo e portare la speranza dell’annuncio cristiano, la voce del Papa e leggere i fatti alla luce del Vangelo. Questo momento ci interroga e ci sfida ulteriormente. Quando ad esempio il 9 marzo del 2020 Papa Francesco ha deciso di iniziare a celebrare in diretta la Messa a Casa Santa Marta, permettendo a tutto il mondo di pregare con lui, poiché le celebrazioni con la presenza di persone in molte nazioni erano sospese, il nostro impegno, tecnico ed editoriale si è moltiplicato. Oltre al servizio delle tele-radiocronache in più lingue, abbiamo creato nuovi programmi, podcast, diffuso audiolibri, per essere vicini a tutti, per arrivare in ogni angolo del pianeta. In questi mesi, oltre ad informare, continuiamo a raccogliere e raccontare storie di vicinanza, di soccorso, di solidarietà. Mostriamo il volto della Chiesa e di tutta quella parte di società che costruisce ponti, spesso in maniera silenziosa, aiuta e include.

La radio, ci dicono statistiche e ricerche, gode di ottima salute. In molte parti del pianeta, oltre ad essere emissione di onde, è anche immagini, messaggi, interazione. La radio abita i social media, ne è divenuta parte. Sicuramente è immediatezza e rapidità. La nostra vocazione è portare la Buona Notizia a tutti e per farlo usiamo onde e bit. La riforma voluta da Papa Francesco ci ha proiettati anche in una nuova dimensione, caratterizzata dall’integrazione con gli altri media, a partire dall’Osservatore Romano. Il personale della Radio Vaticana, che proviene da 69 nazioni, ha permesso la nascita del portale Vatican News, in cui sono presenti flussi video, fotografici, audio e testuali. Per fare un esempio: i podcast della Radio sono diffusi anche attraverso i social dei media del Dicastero per la Comunicazione, spesso sono corredati da immagini e grafiche. E ancora, i servizi dei radiogiornali o programmi diventano non di rado pagine web e articoli de L’Osservatore Romano. Siamo l’espressione di un grande lavoro di squadra e siamo ancora in cammino.

La Radio Vaticana ha sempre parlato molte lingue, ma non avevamo palinsesti linguistici dedicati. La Web radio, che ora sta nascendo, debutta in italiano, francese, inglese, spagnolo, portoghese, tedesco e armeno. Verranno creati nell’arco di quest’anno quasi 30 canali in diretta, corrispondenti ad altrettante lingue, ascoltabili sia sulla pagina della radio, sviluppata appositamente in sinergia con Vatican News, sia tramite l’attuale App di Radio Vaticana. Ampio spazio nei palinsesti sarà dato alla musica e alla liturgia in latino.

La Radio Vaticana trasmette via satellite, DAB+, digitale terrestre, internet e naturalmente onde hertziane. Non dobbiamo dimenticare che in particolare le onde corte incarnano ciò che Papa Francesco chiede con forza, ovvero arrivare alle periferie del mondo. Ci ha colpito molto la testimonianza di padre Pierluigi Maccalli, il sacerdote rapito in Niger nel 2018 e rilasciato ad ottobre del 2020. Dopo la liberazione, ha espresso il desiderio di venirci a trovare. Ci ha raccontato che durante la prigionia, nel deserto del Sahara, gli avevano concesso una radiolina ad onde corte, la sua ‘finestra di aria’. Grazie a quella piccola scatolina, ‘nonostante fosse necessario ripararla più volte e fosse aperta in due’, ci ascoltava in francese ed italiano e gli è stato possibile di partecipare anche alla Messa di Pentecoste con il Papa. Una vicinanza, ci ha detto, che non dimenticherà mai. E noi, da quando abbiamo conosciuto questa storia, ogni volta che studiamo come ottimizzare le trasmissioni verso l’Africa, portiamo nel cuore quelle che chiamiamo Emissioni Maccalli.

Oggi, celebrando questo novantesimo, guardiamo avanti, con la forza e la consapevolezza delle radici e il desiderio di portare nel mondo la luce del Vangelo. Per ogni buon cammino è necessaria la consapevolezza della provenienza e sapere in quale direzione si va. La Radio Vaticana ha una grande storia di servizio, a sostegno della fede, della libertà, della verità, della Chiesa, una storia scandita da decenni di gestione dei Gesuiti, che tutt’ora sono di guida in molte redazioni. Pio XI, nel primo radiomessaggio, si rivolse “a tutte le genti e ad ogni creatura”; attraverso la Statio Radiophonica Vaticana Pio XII fece appello tramite i microfoni affinché le tensioni non precipitassero nel baratro della Seconda Grande Guerra: in quegli anni bui la Radio svolse un servizio mirabile facendo da ponte, aiutando ad avere notizie sulla sorte di migliaia di persone disperse o prigioniere. La Radio ha superato ogni muro: negli anni dei totalitarismi è stata ascoltata da tanti clandestinamente, a rischio della propria vita, perché quello era l'unico modo per partecipare alla Messa. Ricordiamo anche la sfida del Concilio raccontato in circa 3 mila ore di trasmissione, i tanti viaggi internazionali e poi ancora l’adesione fondativa all’EBU (European Broadcasting Union), la maggiore associazione mondiale dei media di servizio pubblico. Abbiamo vissuto gli impensabili 72 giorni, iniziati con la morte di Paolo VI e rimasti alla storia come “l’Anno dei tre Papi”, che misero alla prova tutta la struttura. Abbiamo affrontato la rivoluzione digitale, seguita alle trasmissioni via satellite, e continue sfide fino ad arrivare a quella della pandemia che stiamo vivendo oggi, sempre per essere vicini a tutte le persone che cercano e desiderano ascoltare.

Editoriale pubblicato su Vatican News: https://www.vaticannews.va/it/vaticano/news/2021-02/radio-vaticana-90-anniversario-voce-papa-menichetti.html