giovedì 9 dicembre 2021

Grecia: quella domanda del Papa riflessa negli occhi dei profughi

Sono stato con i giornalisti che hanno seguito il Papa a Cipro e in Grecia dal 2 al 6 dicembre... Un viaggio indimenticabile, come tutti quelli in cui "incontri": storie, realtà, ambienti, persone. Toccante la giornata a Mytilene, sull'isola di Lesvos, dove ora sono accolti alcuni rifugiati...
Condivido l'editoriale pubblicato su Vatican News

“Qualunque Paese va bene, l’unica cosa che cerco per me e per la mia famiglia è un luogo in cui vivere”. È sempre questa semplice e struggente risposta che si sente nel campo profughi di Mytilene, sull’isola di Lesvos, che oggi ospita circa duemila persone: iracheni, siriani, afghani, iraniani… fuggiti da guerra, violenze, persecuzioni, fame. Il campo, circondato dal filo spinato legato sui muri in cemento, affaccia su mare cristallo dove i cordoli artificiali di terra bloccano la risacca e l’accesso. In quel limbo di salvezza, non si lavora, si aspetta. Si attende la firma su un foglio, il permesso di soggiorno, che offre, senza alcuna certezza, la possibilità di ricominciare a vivere. Intanto in quel Campo i giorni possono diventare anni. I bambini giocano con bastoncini di legno, pezzi di ferro raccolti dove capita, con i passeggini rimasti senza ruote, con tanta fantasia. Tutti aspettavano l’arrivo di Francesco: “Un uomo saggio - dice una donna con il velo in testa e gli occhi lucidi - che porta la speranza”. Le storie in questi luoghi sono terribili: migliaia di chilometri percorsi a piedi, senza cibo, senza riparo, torture, privazioni, paura, sfruttamento. Molti hanno visto morire i propri cari, i propri amici. Un bambino guarda fisso il padre che mostra, ai giornalisti al seguito del Papa, le braccia deturpate dalle ustioni che gli hanno provocato i talebani. Dice di venire dall’Afghanistan, che non ha più nulla, che è fuggito per non morire, e per salvare la sua famiglia. Accanto la moglie gli stringe la mano. Più avanti telecamere e obiettivi puntano una donna che scoppia a piangere, mentre un uomo su una sedia a rotelle aspetta, senza scarpe, nella speranza di incontrare il Papa.

Tutto intorno i container bianchi, con i numeri identificativi, disegnano viottoli squadrati, tagliati dai fili per stendere i pochi abiti logori che ognuno possiede. Su quelle stradine posticce, fatte di sassi ci sono carrelli della spesa pieni di taniche di acqua, carrozzine, biciclette, bacinelle, barattoli, cavi, stendini e teli di plastica che coprono baracche in legno addossate alle strutture in resina. All’ingresso del Campo c’è la periferia di questo luogo, fatta di tende e rattoppi. Il Papa è venuto a stringere questa umanità, simbolo di chi viene relegato: dove il mare non ha un buon profumo, non è una strada per viaggiare o con cui giocare, ma un confine invalicabile che spesso uccide. Francesco ha attraversato il muro più difficile da infrangere, quello di cristallo: tutti possono venire e vedere la povertà, l’orrore dell’abbandono e della sofferenza, ma chi vive in posti come questo può solo guardare cosa accade davanti a sé, non può attraversare. 



Francesco ha spezzato questo confine, infranto questa ennesima barriera, cambiato le regole dell’egoismo, della burocrazia e d’indifferenza: toccando, ascoltando, portando con sé, chiedendo che l’uomo sia amato, che non ci si volti dall’altra parte difronte alla sofferenza. Una domanda rivolta ad ognuno di noi, riflessa negli occhi di ogni bambino, uomo e donna che chiede aiuto e che in nessun modo si può ignorare.

domenica 25 luglio 2021

Sotto l'ombrellone - Estate 2021



Sono in spiaggia, sotto l’ombrellone, alla mia sinistra, una coppia con un cagnolino. L’ora è calda ed il mare cristallo. Tra asciugamani e lettini fa lo slalom un ragazzo con la pelle nera: vende stoffe, teli prendisole e qualche collana. Parla un perfetto italiano. Il volpino inizia ad abbaiare contro il venditore ambulante. La padrona mostra soddisfazione: “Fa sempre così quando li vede”. L’uomo  che è con lei incalza: “Fai bene bravo!”. Tutt’intorno, c’è chi abbassa gli occhi e chi annuisce. Il ragazzo frettolosamente scompare tra gli ombrelloni. 

Penso a mio nonno: contadino (ha sempre amato la terra), commerciante, prigioniero in Africa durante la Seconda Guerra Mondiale, venditore ambulante, emigrato in Canada nell'aprile del 1954, per 15 anni (tornò una prima volta dopo 7 anni). Dante partì perché “in Italia praticamente non c’era lavoro e quel poco bastava per farti mangiare, ma non per far creare un futuro, studiare i figli”. Quando s’imbarcò lasciò nonna Iolanda - altro gigante di amore e determinazione - crescere la famiglia, quattro figli, con lei c’era Emilia la mamma di Dante. Il nonno ribadiva quanto fosse importante imparare la lingua del posto, non amava l’italianizzazione delle parole: “Ogni giorno una parola nuova”, per poter capire, farsi capire e aiutare gli altri italiani. 

Il Canada nei suoi racconti era una terra bellissima, affascinante, ricca di opportunità e rispetto, un luogo in cui vivevano persone corrette. Tra i tanti racconti amava ricordare quando comprarono una casa in Italia. Il nonno e la nonna decidevano tutto insieme, i dialoghi, a mezzo posta, duravano mesi. Per poter perfezionare l’acquisto Dante avrebbe dovuto ritirare parte dei risparmi depositati in banca. La mattina in cui avrebbe dovuto inviare i soldi, il responsabile dell’istituto di credito, dove il nonno aveva il conto corrente, si trova a percorrere con la sua automobile la stessa via. 

Il direttore della filiale lo riconosce, suona un colpo di clacson e gli da un passaggio. Durante il viaggio l’uomo apprende che mio nonno avrebbe ritirato parte dei risparmi: “Non può ritirarli oggi, perderebbe gli interessi che ancora non sono maturati, chiamerò in Italia garantendo la presenza della somma necessaria all’acquisto. I soldi saranno trasferiti a fine mese”. Ogni volta che il nonno ricordava questo evento gli occhi si velavano di commozione, per gratitudine credo. 

La nonna, quella sera, vide arrivare una macchina, ebbe una gran paura che fosse successo qualcosa, erano i funzionari della banca italiana venuti ad avvertire della garanzia ricevuta. “Questo era il Canada”, lo stesso Paese, che quando mio nonno si infortunò con un cavo d’acciaio, che gli colpì una gamba, lo trasferì in aereo per un intervento chirurgico, preoccupandosi di ogni aspetto: sanitario, assicurativo, riabilitativo… 

In altri Paesi non era sempre così, a volte: “gli italiani venivano sfruttati, umiliati, scacciati, quasi guardati come animali”. Il cuore degli italiani è grande, e lo è davvero. Siamo un popolo generoso, accogliente, solidale, forte, caritatevole, compatto, in cui brillano eccellenza, creatività, passione, arte… Questi siamo noi, non dobbiamo dimenticarlo mai. Il punto non è solo ricordare chi eravamo, in modo da poter guardare l’Altro - questo aiuta certo - il punto è porgere una mano per primi, è riconoscere lo sforzo di chi cerca con sacrificio e difficoltà, di cambiare un destino duro e difficile, è ricordarsi che “nessuno si salva da solo”, come direbbe Papa Francesco.



domenica 4 aprile 2021

Papa Francesco in Iraq: la speranza che vince l'orrore

Il viaggio in Iraq con il Papa (dal cinque all'otto marzo) è stato commovente, non trovo parola più appropriata. Occhi e mani protesti nell'accoglienza, in una terra devastata dall'odio e che ancora affronta le sue spire. Il cielo plumbeo di Fiumicino ha salutato l'avvio di 4 giorni indimenticabili.



Ad un mese da questo viaggio condivido l'editoriale pubblicato su Vatican News, per portarvi in quella terra dove la speranza ha vinto la paura ed il dolore.


Baghdad


“Per noi è stato come svegliarci da un incubo, non credevamo ai nostri occhi, il Paese davvero può rialzarsi”. Si racchiude in queste semplici parole la speranza di un intero popolo, quello iracheno, che ha abbracciato il Papa dal cinque all’otto marzo scorsi. 


Mosul


L’immagine di questo viaggio è scolpita in un’istantanea
 a Mosul, quella che fu la capitale dell’Isis, dove le macerie sono crivellate da migliaia di proiettili, dove guardando chiese, case, moschee distrutte e deturpate, si tocca la violenza dei combattimenti, la furia dell’uomo che distrugge, calpesta, annienta suo fratello.


Musul

In quel contesto, dove l’orrore è sembrato prevalere, il Papa è stato salutato dal canto dei bambini che agitavano ramoscelli d’ulivo. Altri, poco distanti da quell’incontro, giocavano su uno spiazzo sterrato; l’asfalto è rimasto solo nelle vie centrali. Una bambina di quattro, cinque anni, vestita con una tutina rosa a fiori ed un paio di ciabattine, si stacca dal gruppetto di compagni e cammina all’indietro. Inconsapevolmente si ferma davanti alle gambe di un militare. Lo guarda percorrendone con gli occhi tutta la figura, dai piedi alla testa.

Il militare con le bombe in vita, il casco, gli occhiali per proteggersi dal sole, piega il collo ed incontra lo sguardo della piccola, con il viso sporco di terra come il resto del corpo. Dietro di loro solo le macerie di quelle che erano case. Gli sguardi s’incrociano nonostante quelle lenti scure, l’uomo accarezza la piccola sulla testa e la solleva. Lei esplode in un sorriso, che un istante dopo lui ricambia. In quell’immagine c’è tutto il presente e futuro dell’Iraq.


Baghdad

Un viaggio memorabile quello di Francesco, primo Papa a mettere piede nella terra di Abramo. Ha incoraggiato e confermato nella fede la comunità cristiana, che insieme ai musulmani e alle minoranze presenti, come gli yazidi, ha vissuto sofferenze indicibili. Un viaggio storico per il ponte tracciato con gli sciiti dopo quello con i sunniti ad Abu Dhabi, per l’accoglienza che ha ricevuto, ma soprattutto per la luce di bene e riscatto che ha portato in un luogo devastato dalla guerra, dalle violenze e dalle persecuzioni perpetrate dall’Isis, e che ora vive le piaghe della povertà e della pandemia da covid-19

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Baghdad


Ciò che colpisce è la militarizzazione: ovunque uomini in assetto da guerra, con spessi giubbotti antiproiettile, cinture con bombe a mano, caschi con visiere di precisione ed armi pesanti; decine di pick-up lungo le strade con le mitragliatrici, carri armati e blindati. Lungo le vie, mentre passa il corteo papale, le persone non autorizzate a stare ai bordi con bandierine e striscioni, erano lontane decine di metri con le mani dietro la schiena. Tante le bandiere vaticane, gialle e bianche, fatte sventolare lungo i muri con il filo spinato a Baghdad, Nassirya, Ur, Mosul, Qaraqosh, Erbil.


Qaraqosh


L’Iraq ha subito nel 2020 circa millequattrocento azioni terroristiche, il lavoro è difficile da trovare, le difficoltà economiche sono una realtà drammatica, ma il Paese non è solo questo, anche se questa è la narrazione che prevale, spesso l’unica. Un racconto che non lascia spazio a chi aiuta l’altro, a chi s’impegna per una realtà fatta di condivisione e ricostruzione.



Baghdad

Il viaggio del Papa ha acceso una luce diversa sul Paese e per la prima volta dopo decenni si è parlato di Iraq anche in termini positivi, di accoglienza, di prospettive, di futuro. Cristiani e musulmani hanno consegnato a Francesco le proprie sofferenze, ma anche la propria fede, la propria forza, la volontà di voler rimanere, rimettendo in piedi una terra che nel passato è stata culla di antiche civiltà ed esempio di convivenza pacifica. Tutti hanno ascoltato quelle che hanno definito “le parole grandi” pronunciate da un uomo saggio.


Verso Nassirya


I cristiani si sono ritrovati in preghiera con il Successore di Pietro, diventando una luce per il mondo intero. Un popolo concreto, segnato da storie di sofferenza indicibile, che cerca di vincere l’odio e non accetta di diventare un serbatoio di terrore e fondamentalismo. Il Papa ha portato un fermento nuovo, in una realtà abituata a sentirsi raccontare con colori scuri e mortiferi. A Baghdad dove muri e perimetri blindati proteggono i fedeli di chiese e moschee, i palazzi semi abitati si alternano a piazze illuminate a festa e quartieri poverissimi, dove l’architettura mostra la discontinuità degli stili e le crepe dei combattimenti.



Baghdad


Francesco ha ricordato i martiri, condannando ogni forma di fondamentalismo, si è stretto alla comunità cristiana e ad ogni persona che ha sofferto e continua a soffrire. Nonostante la pandemia, intere famiglie si sono radunate dietro i blindati chiamati a formare cordoni e separazioni, anche solo per vedere un istante “l’uomo di pace” venuto da lontano. Ad Ur dei Caldei, dove si è tenuto l’atteso incontro interreligioso, il vento del deserto soffiava tra le reti di protezione poste lungo il tragitto dall’aeroporto di Nassirya. Qui, dove la tradizione indica la casa di Abramo, alle cui spalle sorge una delle Ziggurat più grandi al mondo, si sono viste le stelle del cielo in pieno giorno, il firmamento che il Papa ha indicato come bussola, per camminare sulla terra, per costruire percorsi d’incontro, dialogo e pace.



Ur



I presenti hanno parlato di “incontro straordinario, inimmaginabile”, rendendo grazie a Dio in lingue diverse. Indimenticabili la gioia e la commozione della comunità di Qaraqosh, dove la maggioranza degli abitanti è cristiana. Il Papa ha ascoltato le ferite e la testimonianza di fede di chi ha visto uccidere dall’Isis: figli, mogli, fratelli. Ha sentito chiedere perdono per gli assassini. Qui, sui volti di anziani e giovani, vestiti a festa, sono scese le lacrime quando il Papa ha scandito le parole “Non siete soli”.  


Erbil

Il saluto di speranza dell’Iraq al Papa è diventato visibile nel grande stadio di Erbil, nel Kurdistan iracheno, dove tanti iracheni e siriani hanno trovato rifugio. Oltre 10 mila persone, arrivate da ogni parte del Paese, hanno pregato con Francesco, aspettando in raccoglimento e silenzio, con una nuova speranza nel cuore: che un Iraq diverso è possibile. 

venerdì 12 febbraio 2021

Radio Vaticana compie 90 anni

Quasi 12mila ore di trasmissione in un anno, tra radiocronache, programmi informativi, liturgici e musicali. È la carta d’identità della Radio Vaticana, l’emittente della Santa Sede, voluta da Pio XI, che la affidò alla Compagnia di Gesù, e che venne costruita da Guglielmo Marconi novanta anni fa. Oggi trasmettiamo in 41 lingue e ogni giorno portiamo le parole del Vangelo e la voce del Papa in tutto il mondo.


Questo anniversario è per noi particolarmente impegnativo. Celebriamo infatti il novantesimo mentre è in corso una delle prove più grandi per l’intera umanità a causa della pandemia da COVID-19. La nostra missione è da sempre non lasciare nessuno da solo e portare la speranza dell’annuncio cristiano, la voce del Papa e leggere i fatti alla luce del Vangelo. Questo momento ci interroga e ci sfida ulteriormente. Quando ad esempio il 9 marzo del 2020 Papa Francesco ha deciso di iniziare a celebrare in diretta la Messa a Casa Santa Marta, permettendo a tutto il mondo di pregare con lui, poiché le celebrazioni con la presenza di persone in molte nazioni erano sospese, il nostro impegno, tecnico ed editoriale si è moltiplicato. Oltre al servizio delle tele-radiocronache in più lingue, abbiamo creato nuovi programmi, podcast, diffuso audiolibri, per essere vicini a tutti, per arrivare in ogni angolo del pianeta. In questi mesi, oltre ad informare, continuiamo a raccogliere e raccontare storie di vicinanza, di soccorso, di solidarietà. Mostriamo il volto della Chiesa e di tutta quella parte di società che costruisce ponti, spesso in maniera silenziosa, aiuta e include.

La radio, ci dicono statistiche e ricerche, gode di ottima salute. In molte parti del pianeta, oltre ad essere emissione di onde, è anche immagini, messaggi, interazione. La radio abita i social media, ne è divenuta parte. Sicuramente è immediatezza e rapidità. La nostra vocazione è portare la Buona Notizia a tutti e per farlo usiamo onde e bit. La riforma voluta da Papa Francesco ci ha proiettati anche in una nuova dimensione, caratterizzata dall’integrazione con gli altri media, a partire dall’Osservatore Romano. Il personale della Radio Vaticana, che proviene da 69 nazioni, ha permesso la nascita del portale Vatican News, in cui sono presenti flussi video, fotografici, audio e testuali. Per fare un esempio: i podcast della Radio sono diffusi anche attraverso i social dei media del Dicastero per la Comunicazione, spesso sono corredati da immagini e grafiche. E ancora, i servizi dei radiogiornali o programmi diventano non di rado pagine web e articoli de L’Osservatore Romano. Siamo l’espressione di un grande lavoro di squadra e siamo ancora in cammino.

La Radio Vaticana ha sempre parlato molte lingue, ma non avevamo palinsesti linguistici dedicati. La Web radio, che ora sta nascendo, debutta in italiano, francese, inglese, spagnolo, portoghese, tedesco e armeno. Verranno creati nell’arco di quest’anno quasi 30 canali in diretta, corrispondenti ad altrettante lingue, ascoltabili sia sulla pagina della radio, sviluppata appositamente in sinergia con Vatican News, sia tramite l’attuale App di Radio Vaticana. Ampio spazio nei palinsesti sarà dato alla musica e alla liturgia in latino.

La Radio Vaticana trasmette via satellite, DAB+, digitale terrestre, internet e naturalmente onde hertziane. Non dobbiamo dimenticare che in particolare le onde corte incarnano ciò che Papa Francesco chiede con forza, ovvero arrivare alle periferie del mondo. Ci ha colpito molto la testimonianza di padre Pierluigi Maccalli, il sacerdote rapito in Niger nel 2018 e rilasciato ad ottobre del 2020. Dopo la liberazione, ha espresso il desiderio di venirci a trovare. Ci ha raccontato che durante la prigionia, nel deserto del Sahara, gli avevano concesso una radiolina ad onde corte, la sua ‘finestra di aria’. Grazie a quella piccola scatolina, ‘nonostante fosse necessario ripararla più volte e fosse aperta in due’, ci ascoltava in francese ed italiano e gli è stato possibile di partecipare anche alla Messa di Pentecoste con il Papa. Una vicinanza, ci ha detto, che non dimenticherà mai. E noi, da quando abbiamo conosciuto questa storia, ogni volta che studiamo come ottimizzare le trasmissioni verso l’Africa, portiamo nel cuore quelle che chiamiamo Emissioni Maccalli.

Oggi, celebrando questo novantesimo, guardiamo avanti, con la forza e la consapevolezza delle radici e il desiderio di portare nel mondo la luce del Vangelo. Per ogni buon cammino è necessaria la consapevolezza della provenienza e sapere in quale direzione si va. La Radio Vaticana ha una grande storia di servizio, a sostegno della fede, della libertà, della verità, della Chiesa, una storia scandita da decenni di gestione dei Gesuiti, che tutt’ora sono di guida in molte redazioni. Pio XI, nel primo radiomessaggio, si rivolse “a tutte le genti e ad ogni creatura”; attraverso la Statio Radiophonica Vaticana Pio XII fece appello tramite i microfoni affinché le tensioni non precipitassero nel baratro della Seconda Grande Guerra: in quegli anni bui la Radio svolse un servizio mirabile facendo da ponte, aiutando ad avere notizie sulla sorte di migliaia di persone disperse o prigioniere. La Radio ha superato ogni muro: negli anni dei totalitarismi è stata ascoltata da tanti clandestinamente, a rischio della propria vita, perché quello era l'unico modo per partecipare alla Messa. Ricordiamo anche la sfida del Concilio raccontato in circa 3 mila ore di trasmissione, i tanti viaggi internazionali e poi ancora l’adesione fondativa all’EBU (European Broadcasting Union), la maggiore associazione mondiale dei media di servizio pubblico. Abbiamo vissuto gli impensabili 72 giorni, iniziati con la morte di Paolo VI e rimasti alla storia come “l’Anno dei tre Papi”, che misero alla prova tutta la struttura. Abbiamo affrontato la rivoluzione digitale, seguita alle trasmissioni via satellite, e continue sfide fino ad arrivare a quella della pandemia che stiamo vivendo oggi, sempre per essere vicini a tutte le persone che cercano e desiderano ascoltare.

Editoriale pubblicato su Vatican News: https://www.vaticannews.va/it/vaticano/news/2021-02/radio-vaticana-90-anniversario-voce-papa-menichetti.html

lunedì 4 gennaio 2021

Covid-19. Un anno dopo

 
Ormai tutti, o quasi, in Italia indossano la mascherina. In questo anno le zone sono diventate gialle, arancioni e rosse. Affianco alla parola lockdown anche delocalizzazione, smart working, cassa integrazione, fame, povertà, coprifuoco e morte: 1.835.901 ad oggi sono le persone, nel mondo, che non ci sono più a causa del virus. Si è lottato contro il tempo, sperato, cercato un vaccino. Ora c’è, ma la paura in molti rimane: del contagio, degli effetti collaterali del siero contro il coronavirus. Si sono moltiplicate ansie e disinformazione, la post-verità dei social media sembra a volte soppiantare la realtà. Le immagini sono vivide, le persone compresse, quasi non vogliono pensare. Continuo a vedere gente ai tavoli dei bar, quando non c’è il coprifuoco, come se nulla fosse, mentre dall’altra parte della strada sfilano le bare. Non esiste governo al mondo che abbia sottovalutato la pandemia, che ora non debba farci i conti. E i conti sono quelli delle persone che muoiono. Molti superano questa patologia, altri ne porteranno i segni per tutta la vita ed altri ancora, non la racconteranno mai. Da una parte chi spera in un cambiamento, una sorta di conversione spirituale, una nuova consapevolezza di responsabilità, verso la Terra, nei confronti dell’umanità tutta, dall’altra chi agita i vessilli della disgregazione irreversibile, della distruzione colpevole,  volontaria, meritata. In mezzo ci sono persone che cercano profitti ed altri che costruiscono speranza. In questi mesi si distinguono molto più facilmente egoismi e altruismi: uomini chinati su altri uomini e uomini di spalle. Continua ad incoraggiarmi e confortarmi il silenzioso costruire di quell’umanità prevalente che non abbandona mai nessuno.